IL TRIBUNALE DI ROMA 
                        Prima Sezione Lavoro 
 
    In persona del giudice, dott. Antonio Maria Luna all'udienza  del
17 maggio 2022, all'esito  della  Camera  di  consiglio  (ore  19,45)
assenti  i  procuratori  delle  parti,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza nella causa civile iscritta al n. 32488 del Ruolo  generale
affari contenziosi dell'anno 2021, vertente tra: 
    1)  Albertoni  Cristiana,  2)  Bucchi  Alessia,  3)  Burchiellaro
Susanna, 4) Cecchi Pietro, 5) Cignoni Stefano, 6) Coluccia  Giuseppe,
7) Cipriani Claudio, 8) Carnevaletti Marco, 9) Cravagna  Walter,  10)
Cusimano  Pietro  Maria,  11)  Delferriere  Philippe,  12)   Falcetti
Federico, 13)  Fontana  Marcellina,  14)  Geri  Giuliano,  15)  Gatti
Massimiliano,  16)  Luconi  Enrico,  17)  Landi  Dario,  18)   Miccio
Cordiale,  19)  Masiello  Giovanni,  20)  Piro  Alfonso,  21)  Rampin
Maurilio, 22) Scagliotti Orlandini Marzio, 23) Usai Riccardo, 24) Van
Remoortel Philip, 25) Zanolli Stefano, 26) Zoppi Paolo, elettivamente
domiciliati in Roma, al Viale G. Mazzini, n.  25,  presso  lo  studio
dell'avv. Barbara Starna che li  rappresenta  e  difende,  unitamente
all'avv. Sabina Di  Giacomo,  giusta  procure  in  calce  al  ricorso
introduttivo, ricorrenti e: 
    Compagnia Aerea Italiana S.p.a., in  persona  dell'amministratore
delegato, dott. Francesco Di Giovanni, elettivamente  domiciliata  in
Roma,  alla  via  della  Conciliazione,  n.  10,  presso  lo   studio
Toffoletto De Luca Tamajo,  rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati
Raffaele De Luca Tamajo, Federica Paterno',  Francesco  Bartolotta  e
Maria Carmela Lampariello, giusta procura in calce  alla  memoria  di
costituzione, convenuta. 
    Oggetto: retribuzione per i periodi di ferie. 
 
                        Esposizione dei fatti 
 
    Con ricorso depositato il 1° dicembre 2021, Cristiana Albertoni e
gli altri litisconsorti indicati  in  epigrafe  -  premesso  di  aver
lavorato alle dipendenze della soc. Compagnia Aerea  Italiana  S.p.a.
dal 13 gennaio 2009 al 31 dicembre 2014, allorquando il loro rapporto
di lavoro e' proseguito ex art. 2112 codice  civile  alle  dipendenze
della soc. Alitalia SAI S.p.a., della quale tuttora sono  dipendenti,
e di aver svolto mansioni a bordo dei velivoli - hanno  esposto  che,
in virtu'  delle  clausole  dei  contratti  collettivi  ed  aziendali
applicati ai rapporti di lavoro,  la  retribuzione  dovuta  per  ogni
giorno di ferie viene determinata prendendo in considerazione,  oltre
allo stipendio base, la sola  indennita'  di  volo  minima  garantita
(IVMG), laddove e' dovuta anche una indennita' di volo oraria  (IVO),
commisurata appunto a ciascuna ora di effettivo servizio a  bordo  di
aeromobili; che l'indennita' di volo  oraria  costituisce  una  quota
rilevante  della  complessiva  remunerazione;  e  che,  pertanto,  la
retribuzione per i giorni di ferie contrattualmente  riconosciuta  e'
molto inferiore a quella media complessiva del personale navigante  e
comunque  inferiore  rispetto  al  parametro  di  proporzionalita'  e
sufficienza sancito dall'art. 36 Cost. 
    Tanto premesso e richiamate le disposizioni di legge  ed  europee
in materia di diritto alle ferie retribuite, come interpretate  dalla
Corte di Giustizia (in particolare dalla sentenza 15.9.2011  Williams
e altri contro British Airways  -  causa  C-155/2010),  i  ricorrenti
hanno sostenuto di  aver  diritto  alla  inclusione,  nella  base  di
calcolo della  retribuzione  per  i  giorni  di  ferie,  anche  della
indennita'  di  volo  oraria,  e  di  essere  rimasti  creditori   di
differenze retributive da quantificare, in via principale, in base al
numero medio di ore di  volo  giornaliere  del  personale  navigante,
cioe' all'incirca 2,5, moltiplicando tale  numero  per  i  giorni  di
ferie ed indi per l'indennita' di volo oraria cosi'  da  ottenere  la
quota  di  retribuzione  per  i  giorni  di  ferie  riferibile   alla
indennita' di volo oraria, o, in via subordinata, facendo riferimento
al valore medio per ogni singolo lavoratore e per ogni anno. 
    Hanno pertanto  chiesto:  in  via  principale:  a)  accertare  la
nullita' e comunque l'illegittimita'  e  contrarieta'  all'art.  141,
comma 2, CE, alle direttive comunitarie 2000/79/CE e  2003/88/CE,  ed
alle norme italiane di  settore,  delle  disposizione  dei  contratti
collettivi relativi alla retribuzione dei  periodi  feriali;  b)  per
l'effetto, disapplicare tali norme contrattuali e/o interpretarle  in
senso conforme alla  normativa  comunitaria,  ovvero  sostituirle  di
diritto con le norme imperative violate; c) accertare il  diritto  di
percepire, durante il periodo di ferie,  una  retribuzione  calcolata
sullo stipendio base, sull'indennita'  di  volo  minima  garantita  e
sull'indennita' di volo oraria nella misura forfettaria, equivalente,
di 2,5 ore di volo per  ogni  giorno  di  ferie;  d)  per  l'effetto,
condannare la societa' convenuta a corrispondere a ciascun ricorrente
le somme indicate in  analitici  conteggi;  e)  in  via  subordinata,
condannare la societa' a corrispondere le minori somme pure  indicate
nel ricorso medesimo. 
    Con memoria difensiva depositata il 27 gennaio 2022, la Compagnia
Aerea Italiana S.p.a. - premesso che la condotta  dei  ricorrenti  si
inserisce in un contesto di richieste seriali sollevate da dipendenti
della stessa, idonee a scompaginare i  conti  della  azienda  sino  a
portarla sul baratro del dissesto, e che essa si e'  sempre  attenuta
in buona fede agli orientamenti giurisprudenziali ed alle indicazioni
dei contratti collettivi  del  tutto  uniformi  sul  tema  della  non
onnicomprensivita'  della  retribuzione  -  ha  esposto,  in  estrema
sintesi, le seguenti argomentazioni: 
    a - i diritti vantati dai ricorrenti  sono  prescritti  ai  sensi
dell'art. 937 cod. nav., in virtu' del decorso del termine  biennale,
in quanto i rapporti di  lavoro  intercorsi  tra  le  parti  si  sono
conclusi in data 31 dicembre 2014 mentre la notificazione del ricorso
ha avuto luogo il 16 dicembre 2021;  e'  ingiustificato  e  contrario
all'art.  3  Cost.  il  differente   trattamento,   in   termini   di
prescrizione, riservato ai lavoratori del settore aereo  rispetto  ai
dipendenti di imprese medio-grandi di altri settori, ragion  per  cui
deve essere  rimessa  al  Giudice  delle  leggi  la  questione  della
legittimita' costituzionale dell'art. 937 cod. nav., nella  parte  in
cui fa decorrere la prescrizione dei diritti del personale  navigante
dallo sbarco successivo alla cessazione o risoluzione del  contratto;
i diritti vantati dai ricorrenti risultano altresi' estinti ai  sensi
dell'art. 2948, n. 4, del codice civile, per il decorso  del  termine
di prescrizione quinquennale; 
    b - dal  1°  gennaio  2015  sono  stati  revocati  alla  societa'
convenuta il certificato di operatore aereonautico e  la  licenza  di
volo, e tutto il  personale  ha  visto  cessare  la  validita'  delle
certificazioni e delle specializzazioni necessarie per l'espletamento
delle prestazioni lavorative; la convenuta e' del tutto estranea alle
vicende riguardanti i rapporti di lavoro intercorsi tra i  ricorrenti
ed altre compagnie aeree, ragion  per  cui  la  stessa  e'  priva  di
legittimazione passiva; 
    c -  alcuni  ricorrenti,  quali  A.  Bucchi,  G.   Coluccia,   M.
Carnevaletti. P. Cecchi, W. Cravagna, P.M. Cusimano, F. Falcetti,  M.
Fontana, M. Gatti, G. Geri, E. Luconi, G.  Masiello,  C.  Miccio,  M.
Scagliotti Orlandini, R. Usai, P. Wan Remootel e P. Zoppi, hanno gia'
adito l'autorita' giudiziaria, cioe' il Tribunale  di  Civitavecchia,
per chiedere l'accertamento delle spettanze  retributive  maturate  a
titolo di ferie per i medesimi titoli e per il  medesimo  oggetto  di
causa, con particolare riferimento all'anno 2010; in ragione di cio',
e' inammissibile la proposizione dell'odierno ricorso per  violazione
del principio del ne bis in idem; 
    d - in  base  alla  normativa  dettata  dall'art.  7  Convenzione
O.I.L., dall'art. 3 della direttiva  2000/79/CE,  dall'art.  7  della
direttiva 2003/88/CE, dall'art. 4 decreto legislativo n.  185/2005  e
dall'art. 10 decreto legislativo n. 66/2003,  per  la  determinazione
della  retribuzione  delle  ferie  occorre   far   riferimento   alla
disciplina  contrattuale  ed  alla  espressa  volonta'  delle  parti;
l'indennita'   di   volo   oraria/giornaliera   non   concorre   alla
determinazione degli istituti retributivi riflessi e differiti; 
    e - il  personale  di  volo  ha  ricevuto,  per  la  retribuzione
feriale, oltre alla paga base, un'ulteriore indennita' (la IVMG); nel
nostro ordinamento non sussiste un  principio  di  onnicomprensivita'
della  retribuzione  operante  con  riferimento   alla   retribuzione
feriale; l'autonomia negoziale  delle  parti  sociali  puo'  decidere
legittimamente di non includere l'IVO come elemento di calcolo  della
retribuzione feriale; nella contrattazione collettiva di  CAI,  l'IVO
e' limitata alle sole  giornate  in  cui  vi  sia  stata  l'effettiva
presenza  del  lavoratore  nel  luogo  di   lavoro;   le   previsioni
contrattuali che comprendono l'IVMG e non  l'IVO  nel  computo  della
retribuzione   feriale   sono   satisfattive   del    requisito    di
proporzionalita' e sufficienza di cui all'art. 36 Cost.; 
    f - dalla lettura della sentenza  della  CGUE  del  15  settembre
2011, in causa C-155/10, emerge chiaramente il principio secondo  cui
nella retribuzione feriale  debbano  computarsi  tutti  gli  elementi
connessi  all'effettivo  espletamento  delle  mansioni  svolte;  tale
principio e' soddisfatto mediante  l'inserimento  dell'indennita'  di
volo  standardizzata  nel  conto  della  retribuzione  feriale,  come
avviene per i dipendenti CAI; 
    g - gli articoli 10 del decreto legislativo n. 66/2003  e  4  del
decreto legislativo  n.  185/2005,  attuativi  rispettivamente  delle
direttive 2003/88/CE e 2000/79/CE, ove  interpretati  nel  senso  che
l'IVO debba essere inclusa nel computo della retribuzione feriale, si
pongono in contrasto con gli artt. 3, 36, 39 e 41  Cost.,  in  quanto
lesivi dell'autonomia negoziale delle parti sociali e della  certezza
del diritto; e'  altresi'  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  2
della legge 2 agosto 2008, n. 130, che ordina l'esecuzione del  TFUE,
nella parte in cui impone l'applicazione delle direttive 2000/79/CE e
2003/88/CE cosi' come interpretate dalla CGUE nella  causa  C-155/10;
in ragione di tutto cio', la societa' convenuta ha chiesto  rimettere
alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzionale
degli articoli 10 del decreto legislativo n. 66  del  2003  e  4  del
decreto legislativo n. 185 del 2005, attuativi rispettivamente  della
direttiva 2003/88/CE e della direttiva 2000/79/CE,  ove  interpretati
nel senso che essi impongano di includere l'indennita' di volo oraria
nel computo della retribuzione delle ferie annuali, nonche' dell'art.
2 della legge 2 agosto 2008, n. 130; in  subordine,  ha  proposto  di
sollevare questione pregiudiziale  di  interpretazione  dinanzi  alla
CGUE dell'art. 7 della  direttiva  2003/88/CE  e  dell'art.  4  della
direttiva  2000/79/CE  chiedendo,  con  riferimento  alla   normativa
nazionale, «se tali disposizioni ostino ad una  disciplina  nazionale
che consente all'autonomia contrattuale collettiva di prevedere per i
lavoratori il pagamento di indennita' aggiuntive legate  al  concreto
svolgimento di una determinata  mansione,  escludendole  al  contempo
dalla retribuzione ordinaria  e,  di  conseguenza,  non  computandole
nella retribuzione dei giorni di ferie annuali»; 
    h - la modalita' di calcolo adoperata dai ricorrenti e'  erronea,
giacche' essa utilizza come parametro non il numero di  ore  di  volo
effettivamente  svolte  dal  singolo  lavoratore,   bensi'   le   ore
astrattamente volabili, calcolate in  misura  pari  a  2,5  per  ogni
giorno di  ferie,  parametro  applicato  indistintamente  a  tutti  i
lavoratori. 
    1. - I ricorrenti hanno in primo luogo affermato di aver lavorato
alle dipendenze della soc. Compagnia Aerea  Italiana  S.p.a.  dal  13
gennaio 2009 al 31 dicembre 2014, data in  cui  i  loro  rapporti  di
lavoro sono proseguiti, ai sensi dell'art. 2112 codice civile e senza
soluzione di continuita', alle dipendenze  della  soc.  Alitalia  SAI
S.p.a.; hanno altresi'  affermato  che  sono  tutti,  alla  data  del
ricorso, ancora dipendenti dell'impresa cessionaria. 
    La convenuta ha affermato di aver cessato la propria attivita' di
vettore aereo dal 1° gennaio 2015, ma non ha contestato il fatto  che
i ricorrenti abbiano continuato  a  rendere  le  loro  mansioni  alle
dipendenze di impresa cessionaria. 
    Essa,  infatti,  ha  soltanto  rilevato  in  proposito  che   «la
circostanza   secondo   la   quale   i   ricorrenti   sarebbero   poi
successivamente transitati in Alitalia  SAI  in  AS,  Societa'  terza
rispetto  alla  scrivente  e  neppure  convenuta  in  giudizio,   non
impedisce di certo l'avvenuto decorso del termine prescrizionale  nel
caso di specie». 
    Deve percio' reputarsi circostanza  pacifica  che  vi  sia  stata
cessione di azienda tra la societa' ora convenuta e la soc.  Alitalia
SAI. 
    Cio' vuol dire che i medesimi rapporti di  lavoro  iniziati  alle
dipendenze della Compagnia Aerea Italiana sono proseguiti anche  dopo
il 31 dicembre 2014 e, almeno  alla  data  di  deposito  del  ricorso
introduttivo del presente giudizio, non erano ancora cessati. 
    La formulazione letterale dell'art. 2112, 1° comma, codice civile
(«In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro  continua
con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti  che  ne
derivano») non sembra dare adito a dubbi circa  la  prosecuzione  del
medesimo rapporto, senza alcuna cesura. 
    Del resto, la cessione di azienda,  comportando,  di  regola,  il
subentro dell'acquirente  nei  contratti  stipulati  per  l'esercizio
dell'impresa (art. 2558 c.c.), implica che si realizzino,  uno  actu,
un insieme di cessioni di contratto disciplinate  in  forma  speciale
rispetto a quella tipica regolata dagli articoli 1406 e segg. c.c. 
    La cessione di contratto e' appunto il negozio attraverso cui  si
realizza il subingresso di un terzo nella intera posizione  negoziale
di una delle parti del contratto. Non puo'  quindi  affermarsi,  come
sostenuto dalla convenuta, che l'espressione contenuta nell'art. 2112
codice civile sia una mera illusione semantica laddove il legislatore
avrebbe solo inteso garantire ai lavoratori ceduti il passaggio senza
soluzione di continuita', mentre in realta' si porrebbe in essere  un
nuovo rapporto di lavoro  alle  dipendenze  di  un  nuovo  datore  di
lavoro. 
    La conseguenza di cio' e' che i rapporti di lavoro dei ricorrenti
sono rimasti i medesimi anche dopo la cessione di azienda  e  che  ad
oggi deve affermarsi che gli stessi non sono mai cessati. 
    Pertanto, non potrebbe accogliersi l'eccezione di prescrizione ex
art. 937, 1° comma, cod. nav. secondo cui «I  diritti  derivanti  dal
contratto di lavoro del personale di volo si prescrivono col  decorso
di due  anni  dal  giorno  dello  sbarco  nel  luogo  di  assunzione,
successivamente alla cessazione o alla risoluzione del contratto». 
    Se, per quanto  sopra,  non  e'  possibile  accogliere  la  detta
eccezione, deve esaminarsi l'eccezione, formulata  in  subordine,  di
prescrizione quinquennale ex art. 2948, n. 4, codice civile la  quale
condurrebbe al rigetto delle domande poiche', essendo pacifico che  i
lavoratori hanno goduto di regime di stabilita' reale  (la  convenuta
ha fatto riferimento alle proprie  notorie  dimensioni  occupazionali
nel periodo di vigenza dei rapporti di lavoro senza che i  ricorrenti
abbiano obbiettato alcunche'), la prescrizione sarebbe decorsa  anche
durante i  rapporti  di  lavoro  (tra  il  credito  di  piu'  recente
formazione, cioe' quello relativo alle prestazioni  rese  a  dicembre
2014, e la proposizione del presente giudizio e' trascorso piu' di un
quinquennio). 
    Devesi pero' escludere che - come affermato dalla convenuta -  la
disposizione dell'art. 2948 codice civile possa  aver  avuto  effetto
abrogativo dell'art. 937 cod.  nav.  sia  perche',  contrariamente  a
quanto si legge nella memoria di costituzione, il  codice  civile  e'
stato emanato prima di  quello  della  navigazione  (rispettivamente,
regio decreto 16 marzo 1942, n. 262, e regio decreto 30  marzo  1942,
n. 327) e comunque  entrambi  i  testi  sono  entrati  in  vigore  il
medesimo giorno, cioe' il 21 aprile 1942, sia perche' le disposizioni
del codice  della  navigazione  hanno  carattere  speciale  e  quindi
prevalgono su quelle generali del codice civile. 
    Invero, l'art. 1 del Codice della navigazione,  rubricato  «Fonti
del diritto della navigazione», recita: «In materia  di  navigazione,
marittima, interna ed aerea, si  applicano  il  presente  codice,  le
leggi, i  regolamenti,  le  norme  corporative  e  gli  usi  ad  essa
relativi. Ove manchino disposizioni del diritto della  navigazione  e
non ve ne siano di applicabili per analogia, si  applica  il  diritto
civile». 
    La Corte di cassazione, infatti, ha avuto modo di  affermare  che
«in tema di rapporto di lavoro nautico» «le norme del  codice  civile
possono trovare applicazione, secondo il disposto  dell'art.  1  cod.
nav., solo quando il diritto della navigazione (che  costituisce  una
legislazione speciale con proprie regole ispirate anche ad  interessi
pubblici) non contenga apposite disposizioni  ne'  altre  applicabili
per analogia» (Cass. civ. sez. lav., 23/04/1991, n. 4386). 
    Chiarito, dunque, che  nel  caso  in  esame  non  potrebbe  farsi
applicazione della disposizione generale del codice civile, stante la
presenza della speciale e prevalente disposizione del citato art. 937
cod.  nav.,  occorre  verificare  se  l'eccezione  di  illegittimita'
costituzionale di tale disposizione  sollevata  dalla  convenuta  sia
rilevante e non manifestamente infondata. 
    2. - Circa la prima condizione, appare difficile  dubitarne  data
la necessaria strumentalita' della norma dell'art. 937 cod. nav.  per
la definizione della presente controversia, la quale non puo'  essere
risolta senza verificare la preliminare fondatezza dell'eccezione  di
prescrizione tempestivamente sollevata. La  condizione  di  rilevanza
sussiste, quindi, in quanto il  giudizio  non  puo'  essere  definito
senza applicare la norma oggetto del dubbio di costituzionalita'. 
    In particolare, la norma in questione deve  trovare  applicazione
poiche' i diritti vantati dagli attori traggono fonte in rapporti  di
lavoro  nautico   e,   ove   la   disposizione   fosse   riconosciuta
incostituzionale, dovrebbe invece applicarsi la disposizione generale
del codice civile con parificazione, a tali effetti, del personale di
volo  alla  generalita'  degli  altri  lavoratori,  ivi  compresi   i
dipendenti della medesima azienda ma  non  impiegati  a  bordo  degli
aeromobili. 
    3. - Quanto al profilo relativo alla non manifesta  infondatezza,
la convenuta, pur rammentando la sentenza della Corte  costituzionale
del 7 novembre 2006,  n.  354,  che  ha  dichiarato  non  fondate  le
questioni sollevate in relazione all'art.  937  cod.  nav.,  sostiene
che, in ragione della molteplicita' degli strumenti informatici e dei
sistemi postali messi a disposizione (ben diversi da quelli dell'anno
1942, anno di emanazione del codice della navigazione), i  lavoratori
addetti alla navigazione aerea non hanno gravi  difficolta',  durante
lo svolgimento del rapporto e della  prestazione  lavorativa,  a  far
conoscere  alla  azienda  (ed  a  far  valere)  le  proprie  pretese.
Pertanto, non sussisterebbe ragione di  un  trattamento  diverso,  in
punto di prescrizione, rispetto agli altri lavoratori  dipendenti  da
imprese medio-grandi che garantiscono  la  stabilita'  del  posto  di
lavoro. La norma sarebbe percio' affetta da vizio di irragionevolezza
coperto dal principio di eguaglianza formale di cui all'art. 3 Cost. 
    Si osserva che  la  Corte  costituzionale,  nel  2006,  e'  stata
chiamata a giudicare, tra l'altro, sulla legittimita'  dell'art.  937
cod. nav. dubitandosi della sua ragionevolezza sotto due profili. 
    In primo luogo, il giudice rimettente aveva rilevato che, essendo
stata estesa la tutela della c.d. stabilita' reale al settore nautico
ed aeronautico per effetto delle sentenze della Corte  costituzionale
n. 96 del 1987 e n. 41 del 1991, le differenze tra i  detti  tipi  di
rapporto e la generalita' degli altri assistiti dallo  stesso  regime
di stabilita' sotto tale  profilo  erano  venute  meno,  per  cui  la
disciplina in tema  di  prescrizione  del  codice  della  navigazione
appariva  irragionevole:  poiche'  non  vi  era  alcun   «metus»   di
licenziamento per il personale di volo (e navigante), la disposizione
che escludeva il decorso della prescrizione in costanza di  rapporto,
avrebbe  comportato  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento
rispetto a quanto disposto  nel  codice  civile  in  tema  di  lavoro
comune. 
    In secondo luogo, il giudice rimettente aveva sottolineato che la
realta' delle imprese  di  navigazione  aerea,  caratterizzata  dalla
crescente brevita' dei voli e dal frequente  ritorno  del  lavoratore
nello scalo di arruolamento, era tale da escludere  ogni  ragionevole
giustificazione della norma impugnata. 
    La Corte costituzionale ha respinto la questione sotto entrambi i
profili. 
    Quanto   al   primo,   ha   contestato   la   fondatezza    della
interpretazione delle norme censurate negando che il regime  speciale
della prescrizione avesse la sua ratio nel metus di licenziamento  da
parte del lavoratore e rilevando che all'epoca di entrata  in  vigore
dei codici  civile  e  della  navigazione,  tutti  i  lavoratori  non
godevano del regime di stabilita', per cui,  «se  il  legislatore  si
fosse  preoccupato  di  offrire  attraverso   la   decorrenza   della
prescrizione  una  tutela  al  lavoratore  rispetto   al   metus   di
licenziamento, avrebbe  dettato  una  disciplina  comune  a  tutti  i
rapporti, ivi compreso il lavoro di diritto comune. Il fatto  che  la
non decorrenza  della  prescrizione  operasse  solo  per  i  rapporti
disciplinati  dal  codice   della   navigazione   costituisce   prova
dell'irrilevanza  del  metus  come  causa  di  giustificazione  della
specificita' della disciplina del lavoro nautico e aeronautico». 
    Inoltre, ha osservato la Corte, posto che  la  sospensione  della
decorrenza della prescrizione opera sia nel caso di contratto a tempo
indeterminato che di contratto a tempo  determinato,  nel  quale  «il
timore del licenziamento ha uno spazio notevolmente ridotto»,  allora
deve escludersi che la ragione della  norma  possa  consistere  nella
tutela del lavoratore rispetto al  timore  di  un  licenziamento.  Si
legge, quindi, nella citata sentenza n.  354/2006:  «la  ratio  delle
norme censurate affonda  le  sue  radici  in  alcune  caratteristiche
tipiche  del  contratto  di  arruolamento  e  del  contratto  con  il
personale di volo, le cui persistenti peculiarita' rispetto al lavoro
ordinario sono connesse sia  al  momento  genetico  del  rapporto  di
lavoro  e  sia  alle  particolari  modalita'  di   erogazione   della
prestazione   lavorativa.   Pur   nell'ottica   di   un   tendenziale
avvicinamento delle discipline, tali specificita' del lavoro  nautico
ed aeronautico sono state piu' volte ribadite da questa  Corte  (cfr.
sentenze n. 98 del 1973, n. 63 del 1987 e n. 80 del 1994). 
    Tra gli aspetti peculiari del lavoro nautico  ed  aeronautico  si
inquadra anche  la  durata  biennale  del  termine  di  prescrizione,
ispirata alla maggiore esigenza di certezza di  rapporti  nell'ambito
del diritto  della  navigazione.  Inoltre,  a  differenza  di  quanto
avviene per i rapporti di lavoro comune, dove il regime di decorrenza
del  termine  prescrizionale  riguarda  solo  i  diritti  retributivi
periodici (cfr. sentenze numeri 115 del 1975 e 40 e 41 del 1979), nel
caso del lavoro nautico ed aeronautico esso concerne tutti i  diritti
scaturenti dal rapporto di lavoro. 
    Se il fondamento razionale  delle  disposizioni  censurate  deve,
dunque, necessariamente essere ricercato all'interno del sistema  del
codice della navigazione, esso puo' essere rinvenuto solo  nel  fatto
che le prestazioni lavorative del personale di bordo o di  volo  sono
destinate ad espletarsi in luoghi diversi da quello di  assunzione  e
di residenza del dipendente. 
    Con la  disposizione  sulla  decorrenza  della  prescrizione,  il
legislatore del 1942 ha inteso dare rilievo ad una  situazione  o  di
vera e propria  impossibilita'  (per  i  rapporti  a  viaggio)  o  di
particolare difficolta' (nel rapporto a  piu'  viaggi,  in  quello  a
tempo determinato e in quelli a tempo indeterminato) di esercizio del
diritto, connesse alla fisica lontananza dal foro competente, in cio'
non  discostandosi  dalla  regola  generale  dell'art.  2935   codice
civile». 
    In tal modo la Corte ha  confutato  anche  il  rilievo  circa  la
diversa realta' del lavoro aeronautico, caratterizzato da brevi  voli
e dal frequente ritorno del lavoratore nello scalo  di  arruolamento,
affermando che vi sarebbe pur sempre una particolare  difficolta'  di
esercizio del diritto, tale quindi da giustificare la non  decorrenza
della prescrizione in costanza di rapporto. 
    Tuttavia, se, certo, da un lato, individuata chiaramente la ratio
della speciale disciplina della prescrizione nel rapporto  di  lavoro
del personale di bordo non gia' nel metus  di  licenziamento,  bensi'
nella detta impossibilita' o quanto meno particolare  difficolta'  di
esercizio del diritto,  non  potrebbe  ravvisarsi  contrasto  con  il
principio  di  uguaglianza  avendo   riguardo   ai   lavoratori   che
beneficiano  della  c.d.  tutela  reale,  dall'altro   non   appaiono
manifestatamente infondati dubbi di costituzionalita' considerando la
speciale disciplina sull'orario di lavoro di  cui,  per  esigenze  di
sicurezza dei voli, beneficiano i lavoratori che prestano servizio  a
bordo degli aeromobili. 
    Il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 185, recante Attuazione
della   direttiva    2000/79/CE    relativa    all'Accordo    europeo
sull'organizzazione dell'orario  di  lavoro  del  personale  di  volo
dell'aviazione civile, stabilisce, all'art. 5, comma  1,  che  «Fermo
restando quanto disposto all'art. 4 in materia di ferie, al personale
di volo dell'aviazione civile vengono assegnati giorni liberi da ogni
tipo di servizio e di riserva, comunicati preventivamente dal  datore
di lavoro, nella misura di almeno sette  giorni  locali  per  ciascun
mese di calendario e comunque di almeno novantasei giorni locali  per
ciascun anno di calendario, che possono comprendere eventuali periodi
di riposo prescritti dalla legislazione vigente». 
    Invece, la  generalita'  dei  lavoratori  ha  diritto  ai  riposi
settimanali nella misura appunto di almeno 24  ore  consecutive  ogni
sette giorni (art. 9 decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66). 
    Dunque, un qualunque  lavoratore  fruisce,  oltre  le  ferie,  di
complessivi cinquantadue giorni di riposo settimanale annui,  invece,
colui che appartiene alla categoria del personale di volo fruisce  di
almeno ulteriori quarantaquattro giorni annui di riposo. 
    Tale differente  disciplina,  manifestamente  giustificata,  come
detto, dalle esigenze di garantire la sicurezza dei voli affinche'  i
lavoratori possano e debbano - in maniera indisponibile -  pienamente
recuperare  le  energie   spese   nello   svolgimento   di   mansioni
particolarmente stressanti, fa si' che la seria  difficolta'  che  in
passato un lavoratore aveva di curare, nel tempo libero  dal  lavoro,
oltre alle ordinarie esigenze familiari e personali, anche  i  propri
interessi, attualmente appare  non  potersi  ravvisare  e  cio',  sia
permesso sottolineare, su un piano giuridico  di  doverosita',  prima
ancora che empirico di possibilita'. 
    Il  personale  di  volo,  in  sostanza,  grazie  alla  disciplina
«privilegiata» dei riposi, e'  posto,  quanto  alle  possibilita'  di
curare le proprie esigenze extralavorative, sullo stesso piano  della
generalita' degli altri lavoratori. Pertanto,  quello  che  la  Corte
costituzionale ha definito «il fondamento razionale» di questa norma,
cioe' «la fisica lontananza dal foro competente»,  almeno  nella  sua
generalita' ed assolutezza, non appare piu' sussistente, dovendosi di
contro dare atto della piena possibilita'  legale  di  esercizio  del
diritto, ai sensi dell'art. 2935 codice civile. 
    A fronte, quindi,  di  una  situazione  di  parita',  sotto  tale
profilo, sembra non piu' giustificabile l'esistenza perdurante  della
disciplina  speciale   della   prescrizione   giacche',   a   parita'
sostanziale di tempo libero dagli impegni lavorativi, il personale di
volo fruisce della possibilita' di far valere i propri diritti  oltre
che durante l'attivita' lavorativa (come testimoniato dalla  presente
controversia proposta da lavoratori tutti in attivita' di  servizio),
non essendovi a cio' alcun ostacolo di diritto, anche per almeno  due
anni dopo che il rapporto di lavoro e'  cessato,  laddove  gli  altri
lavoratori, ove non facciano valere i  loro  diritti  nel  corso  del
rapporto,  rischiano  di  vederli  estinti   per   prescrizione   nel
quinquennio successivo alla maturazione. 
    Di riflesso, ovviamente, la prospettata irragionevole  disparita'
emerge anche rispetto alla posizione del soggetto debitore, in quanto
l'esigenza  di  certezza  dei  rapporti  giuridici,  molto  rilevante
nell'attivita' d'impresa, data la necessita' per le aziende di  poter
prevedere i costi della componente lavorativa del  ciclo  produttivo,
viene allo stato a trovarsi diversamente soddisfatta a seconda  della
norma applicabile in tema di prescrizione, senza, come precisato, che
a cio' corrisponda  un  fattore  giustificativo  adeguato  sul  piano
giuridico.   Sia   permesso,   peraltro,   evidenziare   l'importanza
ordinamentale  del  consolidamento  delle  istanze  di  certezza  dei
rapporti giuridici proprio nel settore  aeroportuale,  caratterizzato
dalla frequenza dei fenomeni successori ex art.  2112  c.c.,  in  tal
senso la continuita' del vinculum iuris nel tempo, a  fronte  di  una
vicenda modificativa sul piano soggettivo del  contratto,  renderebbe
ancor piu' significativo il dictum qui auspicato. 
    Infine,  alcun  vulnus   e'   ipotizzabile   per   i   lavoratori
dall'eventuale dichiarazione d'incostituzionalita'  della  norma  del
codice della navigazione, atteso che, oltre quanto chiarito, trovando
comunque espansione, in caso d'illegittimita', la norma generale  del
codice civile, oltre ai generali meccanismi sospensivi  correlati  al
criterio  comune  del  metus,  troverebbe  comunque  applicazione  il
maggior termine prescrizionale quinquennale. 
    Appare  dunque  non   manifestante   infondato   il   dubbio   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  937,  1°  comma,  cod.  nav.,
secondo  cui  «I  diritti  derivanti  dal  contratto  di  lavoro  del
personale di volo si prescrivono col decorso di due anni  dal  giorno
dello sbarco nel luogo di assunzione, successivamente alla cessazione
o alla risoluzione del contratto», per contrasto con il principio  di
ragionevolezza sancito dell'art. 3, 1° comma, Cost.